La scimmia, nei secoli, è diventata parte integrante di molti aspetti mitologici e culturali del Giappone; non ha una classificazione ben precisa, a volte è considerato e rappresentato come un animale stupido, irascibile e malvagio, altre volte gli viene attribuita intelligenza, altre ancora è rappresentato come un essere o un messaggero divino.
La parola giapponese per scimmia è Saru (猿); in origine identificava prettamente i macachi giapponesi, ma col tempo il suo significato è stato esteso. Può anche trovarsi come parte dei nomi propri di persone ed esistono vari proverbi giapponesi che hanno le scimmie come protagoniste.
Le scimmie in Giappone sono considerate anche guardiane e cacciatrici di demoni; infatti la parola saru (scimmia) è foneticamente identica al verbo saru (allontanare, respingere) e siccome le credenze giapponesi identificano il nord-est come Kimon, ovvero come l’ingresso degli Oni (i demoni giapponesi), le raffigurazioni di scimmie sono quasi sempre presenti in luoghi importanti che affacciano verso nord-est.
Inoltre hanno l’appellativo di umayagami (Kami delle stalle) in quanto sono considerate le protettrici dei cavalli contro malattie ed infortuni; sono anche associate alla fertilità: come da noi si usa dire “fai figli come un coniglio” in Giappone, invece, si usa come mezzo di paragone la scimmia.
In natura erano molto presenti un po’ ovunque, ma con l’urbanizzazione il loro habitat si è ridotto notevolmente ed oggi è possibile trovarle principalmente in luoghi di montagna un po’ distaccati. Il più conosciuto a livello turistico è sicuramente il Jigokudani Yaen-koen non molto distante dalla città di Nagano.
Le scimmie sono anche gli animali che tendono ad essere più simili agli esseri umani, sia come aspetto che come comportamento, e questo fin dall’antichità ha fatto sì che questi animali fossero tanto odiati quanto rispettati dai giapponesi proprio per la loro estrema somiglianza a loro stessi, come scritto anche da Emiko Ohnuki-Tierney, una nota antropologa giapponese.
Dopotutto, nei Nihonjinron, un insieme di testi di sociologia e psicologia pubblicati in Giappone nel dopoguerra per spiegare la “vita” dei giapponesi rapportata al mondo occidentale, si fa riferimento al “Giapponese” come ad un individuo che si conforma alla comunità in cui vive in modo naturale, privilegiando la socialità al proprio “Io”, e mantenendo legami emotivi che possiamo definire “verticali”: tra allievo e maestro, tra dipendente e responsabile, tra anziano e giovane.
Il tutto perfettamente paragonabile alla “società delle scimmie”.
Altre curiosità fanno riferimento a Toyotomi Hideyoshi, il primo shogun Tokugawa, che era soprannominato Kosaru, che significa “piccola scimmia”, perché gli assomigliava sia di faccia che di carattere; designò Sannō, il Re della Montagna (di cui vi parlerò a seguire), come protettore della Pace del Giappone e istituì il Sanno Matsuri, ancora oggi uno dei 3 grandi matsuri di Tokyo.
Sarutahiko Ōkami, il leader dei kami terrestri, che nel Kojiki aiuta Ninigi (il bisnonno del primo imperatore del Giappone) quando discende sulla Terra, è un essere associato da molti ad una divinità scimmia, sia per la parola “saru” presente nel suo nome che per alcune caratteristiche peculiari. Tra l’altro Sarutahiko, per via del suo lungo naso e la faccia rossa, è anche considerato il predecessore dei Tengu.
Insomma, anche se con meno appeal, le scimmie sono un elemento molto presente nel folklore, nella religione e nella cultura giapponese; scopriamo ora alcuni aspetti più in dettaglio di questi particolari animali.
Le tre scimmie “non vedo, non sento, non parlo” e la religione Kōshin
L’iconografia delle tre scimmie sagge che, utilizzando le zampe, si coprono gli occhi, le orecchie e la bocca è stata introdotta in Giappone intorno al VIII secolo dai monaci della setta Tendai; ha comunque un’origine più antica, alcuni la fanno risalire ad antiche tradizioni indù che poi furono diffuse in tutta l’Asia dal buddismo, altri la associano alla dottrina del Confucianesimo.
Il loro significato è “non vedere il male, non sentire il male, non parlare del male”, ovvero “non lasciarti sovrastare dal male”. In occidente, invece, ha più un’asserzione di “mi faccio i fatti miei”.
La loro lettura giapponese è “Mizaru, Kikazaru, Iwazaru” (見ざる, 言わざる, 聞かざる) ed il loro significato letterario è “non vedo, non sento, non parlo” in quanto “-zaru” posto alla fine di un verbo lo coniuga al negativo; ma grazie ad un gioco di parole, “zaru”, forma modificata di “saru” (猿), significa anche “scimmia”.
Ma esiste anche un riferimento più antico, presente nel libro “Dialoghi di Confucio”, una raccolta di pensieri e idee associate a Confucio, che dice “Non guardare a cosa è contrario alla correttezza; non ascoltare ciò che è contrario alla correttezza; non parlare di cosa è contrario alla correttezza; non muoverti con ciò che è contrario alla correttezza”; sembra dunque che l’origine del significato giapponese possa derivare da questa più antica affermazione di Confucio.
La raffigurazione più conosciuta è sicuramente un ramna che ritrae le tre scimmiette al santuario di Toshogu di Nikko.
Sempre in Giappone, esiste un forte legame tra il pensiero associato alle tre scimmie e la religione Kōshin. Questa religione giapponese ha origini nel taoismo, seppure con modifiche shintoiste e buddiste, ed è stata molto sentita e praticata in tutto il Giappone fino al periodo Meiji.
In pratica secondo il Kōshin, nel corpo di ogni essere umano risiedono 3 entità o 3 vermi o 3 cadaveri chiamati Sanshi, che hanno il compito di prendere nota di tutte le buone e cattive azioni che la persona fa nel corso della sua vita; ogni 60esimo giorno del calendario sessagenario, durante il sonno notturno, questi esseri lasciano il corpo del loro ospite per recarsi dalla divinità Ten-Tei, a cui elencheranno tutte azioni fatte negli ultimi 60 giorni.
La divinità, in base alla quantità ed alla gravità delle azioni malvage compiute, deciderà come punire la persona che le ha commesse, arrivando fino alla possibilità di ucciderla.
Anche se non si ha una documentazione precisa, l’associazione delle tre scimmie che non vedono, non sentono e non parlano alla religione Koshin è da attribuire proprio all’idea delle 3 entità che risiedono nel corpo umano, le quali non devono vedere, ascoltare e raccontare il male che una persona ha fatto.
Piccola nota: la notte in cui le tre entità lasciano il corpo del proprio ospite viene chiamata Kōshin-Machi e per evitare che queste vadano a dire le malefatte alla Divinità dei Cieli, molte persone trascorrevano l’intera notte svegli; infatti, senza addormentarsi questi tre esseri non erano in grado di abbandonare la persona fino al “giro successivo”.
Le scimmie associate a Sannō, il Re della Montagna
Sannō (山王) è una divinità identificata come il “Re della Montagna” ed è venerato, allo stesso tempo, sia dal buddismo della setta Tendai che dallo shintoismo; Sannō, infatti, rappresenta l’unione di tre Buddha (Amida, Shaka e Yakushi) e contemporaneamente di tre Kami (Omiya, Ninomiya e Shōshinshi).
Quest’aggregazione di divinità identifica il Dio principale del Monte Hiei, a Otsu, sede della già citata setta Tendai, e prende anche il nome di Sanno Gongen; la parola “gongen” può essere tradotta come “incarnazione” e nel culto sincretismo shinto-buddista sta ad indicare la manifestazione di un Buddha nella forma di un Kami.
Hiyoshi Taisha, sempre alla base del monte Hiei, è il santuario principale a cui fanno riferimento ben 3800 santuari sussidiari in tutto il Giappone, anch’essi devoti a Sanno.
Le scimmie sono i messaggeri shinto del Re della Montagna, che hanno il compito di fare da intermediari tra gli esseri umani e la divinità; inoltre la forma terrena di questa divinità, per la parte buddista, è quella di una scimmia; per lo shintoismo, questi animali sono anche i protettori dei matrimoni felici e dei parti sani.
Son Goku, il Re scimmia
Son Goku è il protagonistra di uno dei quattro classici della letteratura cinese, “Viaggio in Occidente”, che in Giappone prende il nome di Saiyuki. Nonostante questo testo sia di origine cinese, ha avuto un grandissimo successo in tutto Giappone, ispirando non solo manga, anime e videogame, ma anche metodologie di stesura della sceneggiatura.
Per non dilungarmi troppo con un unico articolo, ne ho dedicato uno per intero alla leggenda di Son Goku.
La battaglia fra il granchio e la scimmia
Una vecchia storia giapponese dal nome “Saru kani gassen” racconta di una battaglia tra un granchio ed una scimmia come emblema della giustizia retributiva, conosciuta ai più come “occhio per occhio, dente per dente”.
La storia racconta di un granchio che, dopo aver trovato un onigiri, incontra un macaco giapponese; quest’ultimo, dopo una breve conversazione, convince in granchio a scambiare il suo onigiri con un seme di kaki che, una volta piantato, avrebbe fatto nascere un intero albero che gli avrebbe dato frutti ad ogni stagione.
Fatto lo scambio, il granchio attese anni prima che l’albero facesse nascere i suoi frutti; solo in quel momento, però, si rese conto che non sarebbe mai riuscito a salire fino in cima per raccoglierli. Decise così di chiamare la scimmia che gli aveva dato il seme per chiedergli aiuto.
La scimmia accettò, ma una volta salita in cima all’albero, mangiò tutti i kaki, e scocciata dalle proteste del granchio gli gettò addosso dei frutti acerbi molto duri, che colpendolo, lo uccisero, quindi scappò.
Poco dopo il figlio del granchio trovò suo padre morto ai piedi dell’albero, intuì subito che la colpa era della scimmia e perciò iniziò ad escogitare un piano per avere giustizia; chiese quindi aiuto ai suoi “strani” amici, ovvero, un mortaio, una castagna, un’ape ed uno sterco di vacca.
Tutti insieme andarono a casa del macaco e si nascosero: la castagna vicino al fuoco, l’ape in un secchio d’acqua, il mortaio sul tetto e lo sterco davanti alla porta; quando la scimmia tornò a casa, infreddolita, cercò di riscaldarsi davanti al focolare, ma da lì si generò una reazione a catena: la castagna lo colpi facendolo scottare, la scimmia cercò di far passare la scottatura con l’acqua del secchio ma fu punto dall’ape, quindi tentò di scappare ma scivolò sullo sterco, ed infine, mentre era spalle a terra, il mortaio gli cadde addosso, uccidendola.
Giustizia era fatta. Come si dice: Occhio per occhio, dente per dente!
Esistono molte varianti di questa storia, ma una in particolare racconta che la scimmia non uccise il granchio, anzi, quest’ultimo riuscì a prendere tutti i frutti che la scimmia aveva raccolto, rifugiandosi in una tana scavata nella terra.
La scimmia, arrabbiata, decise di vendicarsi defecando in tutta la buca, ma appena infilò il sedere nella tana, il granchio le tosò tutto il sedere con le sue chele; questo è anche il motivo per cui i macachi giapponesi hanno il sedere rosso e pelato mentre i granchi giapponesi hanno la peluria sul guscio.