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Il Braille in Giappone

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Il Braille è un sistema di scrittura e lettura utilizzato in tutto il mondo dai non vedenti e dagli ipovedenti (persone con una forte riduzione della vista); non è una lingua a se stante ma è una metodologia che utilizza dei “puntini in rilievo” in modo da poter utilizzare il tatto per identificare e comprendere una parola o un testo, di qualunque tipo esso sia.

Ma prima di dedicarci al suo utilizzo in Giapponese, facciamo qualche premessa.

Non essendo una lingua vera e propria, esistono moltissime codifiche Braille differenti, non solo per lingue strutturalmente diverse tra loro, come il cirillico, l’arabo, il giapponese, il cinese, etc. ma anche tra quelle derivanti dal latino, soprattutto per includere o meno caratteri speciali o con accenti, dieresi, occhielli o tilde.

A prescindere dalla lingua che rappresenta, ogni “carattere Braille” può essere considerato come una “cella” dalla forma di un rettangolo verticale, al cui interno sono presenti 6 puntini disposti su 2 colonne, ovvero 3 puntini verticali per ogni colonna.

La combinazione di uno o più puntini in rilievo di ogni cella rappresenta un carattere nella lingua che il Braille trascrive, ed essendoci un totale di 6 puntini per carattere, il numero di combinazioni a disposizione è al massimo 64.

Esiste uno standard internazionale Braille che è basato sui caratteri latini, o meglio, sull’alfabeto francese del XVIII secolo in versione “rivisitata”; infatti la nascita di questo sistema di lettura/scrittura fu opera di Louis Braille, un ragazzo francese che all’età di 15 anni semplificò la cosiddetta “scrittura notturna” (inventata dal Charles Barbier per uso militare) pubblicandola qualche anno dopo, nel 1829.

La dicitura “rivisitata” è dovuta al fatto che nell’alfabeto francese non esisteva la lettera W, che fu aggiunta solo successivamente in fase di internazionalizzazione, portando il numero di codifiche basilari da 25 a 26.

Le restanti combinazioni servono per indicare punteggiature e caratteri speciali. Per identificare i numeri, invece, si utilizza il carattere speciale ⠼ posizionato subito prima del numero vero e proprio.

 

Il Braille giapponese standard

In Giappone, il Braille prende il nome di Tenji (点字), ovvero “lettere a punti”, e nacque nel 1890 a opera di Kuraji Ishikawa; nello stesso anno l’università di Tsukuba a Tokyo lo approvò per l’educazione ai non vedenti e nel 1901 fu riconosciuto a livello nazionale.

La versione giapponese del Braille è a se stante, non compatibile con la versione internazionale, e riporta tutte le sillabe dell’hiragana e del katakana (che sono foneticamente identiche), per un totale di 48 codifiche; infatti, sono presenti anche le non più utilizzate WI e WE.

Codica dell'Hiragana in Braille giapponese

La composizione delle sillabe ha una struttura fissa, ovvero le vocali sono rappresentate dalla combinazione dei primi due pallini in alto a sinistra e del primo in alto a destra, mentre le consonanti dal terzo pallino in basso a sinistra e dal secondo e terzo in basso a destra; due eccezioni sono la rappresentazione dalla Y e dalla W, che cambiano l’intera regola appena descritta.

A queste 48 codifiche si aggiungono quelle per la punteggiatura (parentesi quadre, parentesi tonde, punto interrogativo, punto esclamativo, virgola, punto e trattino), quelle per identificare il sokuon (っ e ッ, lo tsu rimpicciolito, utilizzato per raddoppiare una consonante) ed il chōon (ー, l’allungamento vocalico del katakana), quella per indicare uno spazio e molte altre, anche in combinazione tra loro (ad esempio per indicare una sottolineatura o una parola/citazione che cambia la codifica dal giapponese ai caratteri latini).

Ci sono poi le codifiche speciali per i dakuon, gli handakuon, gli yōon, i gōyōon e le loro combinazioni, che anteposte alla codifica di una sillaba, ne cambiano la vocalità.

Per quanto riguarda i numeri, si usa la stessa convenzione internazionale, ovvero si antepone il carattere speciale ⠼ alla codifica internazionale del numero; questo significa che per indicare un numero nel Braille giapponese si utilizza sempre la sua versione araba e non quella dei kanji o della sua controparte fonetica in hiragana.

Codiche speciali in Braille giapponese

Ci sono solamente due casistiche in cui un kanji numerico viene trascritto usando le sillabe in hiragana: se si fa riferimento ad un nome proprio o di un luogo, ad esempio Shikoku (l’isola giapponese, dove “shi” è scritto con il kanji del numero 4) oppure se il numero è in forma di “classificatore” (furari = 2 persone, tsuitachi = 1 giorno del mese).

Un’ulteriore regola legata alla codifica numerica è che se dopo la fine di un numero è presente una certa parola che inizia con una vocale o con una sillaba in –R, si aggiunge un trattino tra la fine del numero e l’inizio della parola. Questo è dovuto al fatto che la codifica dei numeri è la stessa delle vocali e delle sillabe in –R per cui, oltre ad indicare sempre l’inizio di una parte numerica con l’apposito simbolo, in questi casi è necessario fornire anche l’informazione sulla sua fine.

Solitamente non si superano le quattro cifre consecutive per i numeri, dalla quinta in su si usano le unità di misura scritte in hiragana, ad esempio 10.000 = man oppure combinazioni tra numeri arabi ed hiragana.

Esistono, poi, svariate altre regole di trasformazione dall’hiragana al Braille: Per esempio, la particella HA che viene letta WA, è trascritta come si pronuncia e non come si scrive; stessa cosa accade per la particella HE, che viene letta e trascritta E.

Inoltre, non essendoci i kanji che fanno capire la fine di una parola, nella trascrizione in Braille si separa ogni parola con uno spazio (se è presente la particella questa rimane attaccata alla parola), al contrario della normale scrittura giapponese, dove non esistono gli spazi tra le parole.

 

I kanji in Braille

Ebbene sì, l’intera complessità della lingua giapponese può essere riportata anche nel mondo del Braille, evitando di convertire i kanji in hiragana e gestendoli direttamente con combinazioni da una a tre celle ed utilizzando 8 punti per cella invece che i 6 descritti nel paragrafo precedente.

Questa versione è chiamata Kantenji (漢点字), ovvero “lettere cinesi a punti” o “lettere Han a punti”; la sua invenzione risale al 1969 è stata curata da un insegnante della scuola per ciechi di Osaka di nome Taiichi Kawakami.

C’è da dire, però, che lo standard giapponese è quello composto da cella a 6 punti, mentre la versione ad 8 punti, per quanto presente in alcuni contesti e libri, è poco utilizzata.

Una cella Kantenji ha la stessa struttura delle celle a 6 punti ma con in più, in cima, due punti aggiuntivi utilizzati per indicare se la cella:

  • Rappresenta un kanji completo (entrambi i punti aggiuntivi sono “in rilievo”)
  • Rappresenta la prima parte di un kanji composto (il solo punto aggiuntivo a sinistra è “in rilievo”)
  • Rappresenta l’ultima parte di un kanji composto (il solo punto aggiuntivo a destra è “in rilievo”)
  • Rappresenta un kana o una regola di quelle citate per le celle a 6 punti o la parte centrale di un kanji composto da tre celle (entrambi i punti aggiuntivi sono “spenti”)

In modalità Kantenji, delle 64 possibili combinazioni delle celle a sei punti, 57 sono utilizzate per codificare 57 kanji di base (quelli definiti “completi”), 6 sono utilizzati per definire del “selettori” ovvero dei modificatori di tratti o significati ai kanji base e lo spazio rimane invariato.

Codica dei Kanji in Braille giapponese
Alcuni esempi di Kanji codificati in Braille

Per cui, un kanji in Braille si può ottenere:

  • Con una sola cella che identifica un kanji di base
  • Con due celle adiacenti, entrambe composte da kanji di base a formare un unico kanji finale, sia in ordine corretto che in ordine inverso (così da aumentarne il numero di combinazioni)
  • Con due celle adiacenti, di cui una per identificare un kanji di base e l’altra il numero di ripetizioni dello stesso. Ad esempio: Hi (fuoco, 火) + 2 = Honō (fiamma, 炎) oppure Ki (albero, 木) + 3 = Mori (foresta, 森)
  • Con due celle adiacenti, di cui una per identificare un kanji di base e l’altra uno dei sei selettori; la cella con il selettore può essere messa prima o dopo rispetto al kanji base; non esiste una logica per cui un certo selettore modifichi il kanji in un determinato modo, ogni combinazione ha un suo preciso significato. Ad esempio: Ki (albero, 木) + selettore 6 = Hon (libro, radice, 本) oppure Uma (cavallo, 馬) + selettore 3 = Buta (maiale, 豚)
  • Con tre celle adiacenti, di cui la prima e l’ultima per identificare un kanji di base e quella centrale che può essere o un selettore o un terzo kanji di base; questa casistica di utilizzo è abbastanza rara

 

Curiosità sul Braille

Le leggi sul copyright giapponese stabiliscono che qualunque opera può essere tradotta in Braille, anche se il titolare dei diritti è ancora in vita.

Nel 1922, l’attuale Mainichi Shimbun, pubblica il primo giornale (sottoforma di settimanale) al mondo scritto in Braille; ad oggi rimane l’unico giornale commerciale in Braille di tutto il Giappone.

Nel 1940 venne aperta a Tokyo la Japan Braille Library, ad oggi la più grande biblioteca in Giappone a gestire, pubblicare, tradurre (anche per scopi privati) e prestare libri, riviste e testi scritti in Braille.

Nel 1966 nasce la Japan Braille Committee o BAJ (日本点字委員会) come unico organismo nazionale atto a standardizzare la il Braille in Giappone; è composto da membri della “All Japan Society of Educational Research for the Visually Impaired” (un insieme di scuole per non vedenti) e della “Japan Council of Social Welfare Institutions for the Visually Impaired” (un insieme di case editrici per non vedenti), oltre a membri terzi di alto spessore relativamente al mondo Braile.

Infine, curiosità italica: fu Francesco Lana de Terzi, un gesuita bresciano, che oltre ad essere il fondatore della scienza aeronautica, nel 1670 inventò il primo sistema di trascrizione dell’alfabeto per non vedenti basato su punti e linee, che purtroppo non ebbe successo per via della difficoltà nell’identificare le linee con il tatto rispetto ai soli punti della versione francese.

Fabrizio Chiagano
Fabrizio Chiagano
Web Developer, UX e UI Designer. Abbastanza Nerd, appassionato di tecnologia, fotografia, cinema, documentari e marketing. Ovviamente, patito di anime, cucina e cultura Giapponese. Vivo a Milano ^_^