HomeLingua giapponeseHiragana e Katakana: introduzione ai sillabari giapponesi

Hiragana e Katakana: introduzione ai sillabari giapponesi

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Chi si avvicina al Giappone, che sia perché incantato dal suo patrimonio artistico e culturale, dalla sua natura, dall’arte, i manga o gli anime, spesso porta con sé anche il desiderio di scavare nel profondo di questo universo così diverso e misterioso, alla scoperta di ragioni, spiegazioni e curiosità in più.

Spesso, però, le porte di accesso alla comprensione e all’interpretazione di questo immenso mondo non sono spalancate né facili d’aprire. Si arriva ad un punto in cui l’unica porta che ci permetterebbe di sbirciare nei lati più intimi e profondi di questo grande e intricato paese è serrata.

Riusciamo solo ad intravedere degli scorci attraverso il buco della serratura e a scorgere qualcosa di immenso senza riuscire ad averne accesso. Quella sensazione di incompletezza, la consapevolezza che manchi qualcosa ci spinge a fare un grande passo e a crearci una nuova missione: prendere possesso di quella chiave e aprire il cancello più grande: quello della comunicazione.

Grazie a quella chiave ci rendiamo conto di quanto la lingua e la cultura giapponese siano legate tra loro.

Scopriamo che la pronuncia della parola Kit Kat ricorda il suono delle parole giapponesi kitto katsu, che traducono il messaggio di incoraggiamento: ce la farai sicuramente! Così, grazie alla lingua, un semplice cioccolatino si trasforma in un augurio di buona riuscita in tempi di esame o in un souvenir ben gradito.

Scopriamo che il verbo piacere in realtà non è un verbo ma un aggettivo e che, per la nostra mente, una cosa non deve piacere ma deve “essere piaciosa”. Guardando il kanji che ne rappresenta il concetto, ci accorgiamo che il piacere, che è in parte anche amore, è la combinazione di due immagini: una donna e il suo bambino.

E se ci siamo mai chiesti il motivo per cui spesso tra i banchi di scuola e negli o-bentō compaiano dei polpi (che siano statuette o dei wurstel bolliti tagliati in modo tale da assumerne la forma) finalmente scopriamo che la parola octopus ricorda oku to pasu ovvero se ce l’hai con te, passi, allora ben venga a scuola, che si vedano polpi dappertutto.

La lingua giapponese è una miniera di giochi di parole e significati nascosti. La scrittura, che forse più di tutto dona fascino alla lingua, è un insieme di piccole opere d’arte che, combinandosi tra loro generano nuovi concetti: un maiale di mare diventa un delfino e dei fiori di fuoco degli splendidi fuochi d’artificio.

Come tutte le lingue straniere e forse anche di più, il giapponese richiede tantissima dedizione ed infinita pratica e, come un castello, va costruito mattone dopo mattone, disponendo con una certa logica ogni singolo pezzo, creando una sequenza musicale, inserendo qualche eccezione con l’obiettivo di creare un risultato armonico, una grande opera dell’architettura.

Come ogni castello che si rispetti, tuttavia, non sarà di certo facile costruirlo né semplice introdurvisi. Chi decide di intraprendere questa avventura, però, sicuramente dispone di una delle armi più potenti dell’universo: la motivazione.

Una volta create delle fondamenta stabili sarà un continuo crescere, una progressiva evoluzione che porterà con sé delle grandissime soddisfazioni: comporre una frase, un discorso, riuscire a comprendere e a comunicare nel Paese che per molti rappresenta un sogno divenuto realtà non è un’impresa impossibile, tutto sta nel costruire una base solida.

 

Hiragana e katakana: i sillabari della lingua giapponese

Quando si intraprende lo studio della lingua giapponese, normalmente si tende a partire dai suoni che la caratterizzano, ovvero dal cosiddetto alfabeto. Il giapponese non fa eccezione, ma ha una peculiarità in più: non un solo alfabeto bensì due, e non è corretto chiamarli alfabeti in quanto non sono composti da consonanti e vocali come accade in italiano e molte altre lingue, ma principalmente da vocali e sillabe (consonanti seguite da vocali), per cui è più appropriato chiamarli sillabari.

Non esiste, quindi, una “m” ma in compenso abbiamo a disposizione “ma“, “mi“, “mu“, “me“, “mo“; allo stesso modo non troviamo una “k” ma bensì “ka“, “ki“, “ku“, “ke“, “ko” e così via.

È semplice intuire come questo sistema sia alla base della musicalità della lingua, che tende a presentarsi con un’alternanza tra consonante e vocale (ne sono un esempio parole come ka-ra-te, ki-mo-no, ka-mi-ka-ze). La sola consonante che non necessita di una vocale al suo fianco è la “n” (questo giustifica parole come ni-n-ja).

Ma perché abbiamo parlato di sillabari e da cosa nasce la necessità di averne due?

Prima di tutto dobbiamo fare un tuffo nel passato e ricordare che il Giappone è stato per moltissimi anni chiuso come in una bolla di vetro, tanto da aver coltivato tradizioni quasi senza alcuna contaminazione estera, e molte di esse ancora oggi lo caratterizzano e lo rendono unico. Allo stesso tempo il Giappone non ha conosciuto il pane, il formaggio, un letto che non fosse un futon, una porta che non fosse di quelle tipicamente giapponesi né una T-shirt fino a quando quella bolla non è esplosa dando modo al Paese di aprirsi al mondo esterno.

La peculiarità del Giappone è anche quella di distinguere ciò che è prettamente parte della cultura nipponica da ciò che, in un certo senso, viene dall’esterno e non fa parte del loro essere. Tutto questo si trasmette anche attraverso la lingua.

Abbiamo così due diversi sistemi di scrittura che, già a partire dall’impatto visivo, ci aiutano a distinguere un “qualcosa” introdotto dall’estero da uno che da sempre fa parte della loro cultura.

Uno dei due sistemi di scrittura è più morbido, prende il nome di hiragana e, attraverso le sue curve e i suoi riccioli, ci parla di oriente. L’altro è più spigoloso, si chiama katakana e va oltre i confini del paese fino a raggiungere l’America, l’Italia, la Francia, la Germania.

In entrambi i casi ci troviamo davanti a delle tabelle con delle vocali, delle sillabe ed un’unica consonante che, messe in sequenza come per creare un collage, traducono i suoni delle parole.

Tabella Hiragana
Tabella Hiragana (CC BY-SA 3.0)
Tabella Katakana
Tabella Katakana (CC BY-SA 3.0)

(Nota importante: le sillabe WI e WE di entrambi i sillabari, in grigio nelle due tabelle soprastanti, sono diventate obsolete nel giapponese moderno e non sono più usate, se non per i nomi di alcuni marchi, in rare parole ed in alcuni testi antecedenti al 1946 circa. Le frecce rosse ed i numeri sopra ogni sillaba indicano l’ordine e la direzione dei tratti da seguire in fase di scrittura)

Quindi, il suono emesso dalla parola karate, per esempio, diventa un collage composto dalle sillabe “ka”, “ra” e “te” (からて) mentre kimono allinea le sillabe “ki”, “mo” e “no” (きもの). Entrambi i termini seguono le curve di hiragana, tipiche delle parole prettamente giapponesi, senza contaminazioni estere.

Le dinamiche di katakana seguono invece una logica un po’ più tortuosa, così come le linee grafiche che lo caratterizzano. Katakana vuole cocciutamente riprodurre suoni inglesi, tedeschi, italiani imponendo un’armonia e un’alternanza tra consonante e vocale tipiche giapponesi che finiscono quasi per stravolgere il termine originale, a meno che esso non sia armonico già nella lingua di partenza.

Non conta la trascrizione in caratteri occidentali: del prestito linguistico i giapponesi estrapolano solo la pronuncia e, non riuscendo a riprodurre fedelmente quei suoni stranieri che prevedono più consonanti vicine, assegnano una vocale a tutte quelle consonanti che non ne prevedono una al loro fianco.

Il mouse del computer, termine introdotto dalla lingua inglese, subirà quindi due processi e si trasformerà prima in maus, riproducendo il suono della parola originale, per poi diventare mausu (マウス), non essendo previsto in giapponese l’uso isolato della consonante s.

La vocale prescelta per accompagnare le consonanti singole è generalmente la “u”, essendo un suono poco invasivo e che, in molte occasioni, quasi scompare nella pronuncia giapponese.

Quando è però la “t” o la “d” la consonante a dover essere arrotondata, la vocale prescelta diventa la “o”.

La parola tedesca arbeit (lavoro) è stata introdotta nella lingua giapponese per far riferimento non tanto al lavoro inteso in generale, quanto a quei piccoli impieghi che uno studente generalmente svolge per mantenersi durante il corso degli studi.

In giapponese il suono del termine arbait, pronuncia di arbeit, si trasforma in arubaito (アルバイト).

Alcune sillabe di hiragana e katakana possono essere modificate attraverso l’uso di piccoli segni simili a due trattini chiamati nigori (o ten ten, o ancora dakuten) oppure ricorrendo ad un cerchietto, detto maru (o handakuten). La loro funzione è quella di modificare i suoni sui quali si applicano creandone di nuovi.

I nigori si applicano a tutte le sillabe che iniziano con “k”, “s”, “t” e “h” mentre i maru solamente su quelle che iniziano con “h”. Per cui, se ad esempio aggiungiamo i nigori alle sillabe in “k” di hiragana, otterremo:

が (ga)   ぎ (gi)   ぐ (gu)   げ (ge)   ご (go)

Mentre, per le sillabe in “h”, aggiungendo i maru sempre su hiragana otterremo:

ぱ (pa)   ぴ (pi)   ぷ (pu)   ぺ (pe)   ぽ (po)

Altre sillabe si combinano tra di loro generando suoni composti che ci permettono di avere tutti gli elementi necessari per riprodurre agevolmente per iscritto ogni parola udita, o quasi. Queste sono ya (や), yu (ゆ) e yo (よ) che, aggiunte in versione “rimpicciolita” alla fine delle sillabe “ki”, “shi”, “chi”, “ni”, “hi”, “mi” e “ri” (o alle loro varianti con nigori e maru) generano, ad esempio:

きゃ (kya)    きゅ (kyu)  きょ (kyo)
oppure
しゃ (sha)  しゅ (shu)  しょ (sho)
o ancora
ぴゃ (pya)  ぴゅ (pyu)  ぴょ (pyo)

Questi sono solo degli esempi, parleremo più in dettaglio dei nigori, dei maru e delle sillabe combinate in un articolo dedicato.

Prima di concludere, occorre però precisare che la morbidezza di hiragana e la spigolosità di katakana non sono purtroppo sufficienti per la comprensione completa della lingua giapponese, che vanta anche un terzo sistema di scrittura ben più complesso, ovvero i kanji.

Milena Ingrosso
Milena Ingrossohttps://www.justsmileformazione.it
Amo scoprire ciò che si nasconde dietro la lingua, la cultura e la cucina giapponese. Dal 2008 mi occupo di formazione, offrendo corsi di giapponese e di inglese un po' fuori dagli schemi, per imparare in modo semplice, divertente e senza stress. Grazie a Vallardi Editore ho pubblicato "Chikamichi - manuale di giapponese per italiani", un testo diverso dai tradizionali libri di giapponese già disponibili, pensato per chi parte davvero da zero.