La geisha è uno dei simboli più rappresentativi del Giappone tradizionale.
Riuscire a comprendere la geisha nella sua totalità, nella sua Essenza più profonda e vera, non è semplice poiché bisognerebbe analizzare tutto quel background storico e culturale che ha portato al suo sviluppo, tornando indietro fino all’Età Classica per arrivare poi all’Età Moderna più vicina a noi.
Molte sono inoltre quelle figure femminili che nei secoli del Giappone più antico, hanno contribuito alla nascita della geisha, ormai simbolo per eccellenza del suo Paese. A partire dalle ancestrali sciamane, alle donne intrattenitrici presso la corte del Periodo Nara (710-794) e del Periodo Heian (794-1185), dalle artiste itineranti fino alle cortigiane del Periodo Edo (1603-1868), momento storico in cui si andava costituendo sempre più quella delicata realtà liminare tra prostituzione ed arte.
Tutte queste donne hanno plasmato, nel corso della storia giapponese, colei che oggi nella sua poliedricità rappresenta il più grande ideale estetico ed artistico del Giappone.
- Quando nasce la geisha?
- Il significato del termine “GEISHA” ed il concetto di “GEI”
- La vera essenza della geisha: artista o prostituta?
- Le fasi del percorso di una geisha
- La differenza tra Maiko e Geiko
- I quartieri delle geisha nella storia del Giappone
- Prefettura di Kyōto
- Prefettura di Tōkyō
- Prefettura di Gifu
- Prefettura di Fukuoka
- Prefettura di Ishikawa
- Prefettura di Niigata
- Geisha Monogatari: La storia della geisha dalle origini ad oggi
Quando nasce la geisha?
Tutto il Periodo Edo fu caratterizzato dal concetto filosofico dell’ukiyo (浮世), il “mondo fluttuante”, ispirato da una visione effimera della vita che imponeva di cogliere l’immediato godimento di una realtà fuggente, fosse esso suscitato da un fenomeno della natura, da un sentimento amoroso, dal piacere di una gradevole compagnia, dal desiderio carnale o dal puro distacco dai problemi quotidiani.
L’ukiyo fu il principio che fece da base allo sviluppo del mondo dei quartieri del piacere, che si diffusero in tutto il Giappone. Yoshiwara fu il più famoso tra questi, e sorse proprio nella città di Edo (odierna Tōkyō).
Yoshiwara, così come tutti gli altri quartieri, era popolato da una società variegata al cui apice stavano le cortigiane, considerate come le “regine” di quel mondo; regine intrattenitrici che passavano parte della giornata esposte dentro a tristi gabbie, in attesa di un cliente che le scegliesse. Una volta scelta, la cortigiana poteva offrire sia la propria arte intrattenitiva che il proprio corpo. Agli strati inferiori di questa società stavano invece le più comuni prostitute, le quali vivevano in condizioni peggiori rispetto alle cortigiane di alto rango, e basavano la loro professione esclusivamente sulla vendita di prestazioni sessuali.
Nel Settecento però la realtà dei quartieri del piacere cominciò a sfiorire. Era giunto il momento di rinnovare e rinnovarsi. Progressivamente ed inesorabilmente il numero delle cortigiane iniziò a ridursi, e fu allora che un nuovo tipo di donna iniziò ad apparire; una donna che non era più rinchiusa in gabbie, che vestiva con equilibrata ricercatezza e che soprattutto non offriva il suo corpo bensì il suo talento e la sua arte.
Fu così nel 1761 che si affermò ufficialmente la figura della geisha. Le geisha, in questo clima di decadenza dei costumi e delle tradizioni antiche, presero il sopravvento sulle cortigiane, ed il loro numero andò aumentando sempre più.
Queste nuove intrattenitrici così sostituirono definitivamente coloro che un tempo avevano rappresentato la bellezza e lo sfarzo del “mondo fluttuante”, divenendo il fulcro intorno al quale iniziarono a ruotare i nuovi canoni di bellezza ed eleganza giapponese.
Il significato del termine “GEISHA” ed il concetto di “GEI”
Il termine geisha (芸者) significa letteralmente “persona d’arte/artista”. Per la geisha la disciplina delle diverse arti, è indicato con il termine gei (芸), cioè “arte”, che dà letteralmente significato al nome della sua professione, la gei-sha: una persona dedita completamente all’arte.
Le discipline studiate da una geisha sono in particolare la musica e la danza tradizionali; l’arte della geisha trascende però i generi di gei da lei studiati: ciò che infatti porta una donna verso questa professione è, soprattutto, la scelta consapevole di fare dell’arte la propria vita. Se per una geisha l’arte è vita, allora anche la vita di conseguenza deve diventare arte.
La geisha è però ben più di una semplice intrattenitrice, rievocatrice e custode della tradizione; il tempo per il quale viene pagata, le ore trascorse ai banchetti in presenza dei clienti, costituiscono soltanto l’aspetto più evidente della sua vita professionale.
Ciò che una geisha offre al suo pubblico è non solo la rappresentazione della tradizione artistica dalla storia secolare, ma anche un’eleganza coltivata nell’ambiente esclusivo e distaccato del karyūkai (花柳界), ovvero il “mondo dei fiori e dei salici”, microcosmo di appartenenza di questa figura.
Tutto quanto vi è di speciale e unico in una geisha e che l’avvolge di un fascino unico nasce perché la sua esistenza è separata dalla società quotidiana, lontana dai canoni e modelli imposti, in particolare quelli femminili, soprattutto nel passato giapponese.
Il gei ed il suo sviluppo è l’ideale, il fondamento su cui si basa dunque non solo la professione ma l’intera vita della geisha.
La vera essenza della geisha: artista o prostituta?
La geisha è stata, e continua ad essere ancora oggi, vittima di un processo di forte snaturamento, che l’ha privata della sua vera Essenza. Difatti spesso l’arte tradizionale di cui è simbolo, viene erroneamente associata a quella che è “l’arte del piacere”, fondata sulla seduzione e la vendita del proprio corpo. Questa immagine, alla base di un grave stereotipo, ha dominato per secoli grandissima parte del pensiero occidentale, e continua a farlo.
Le geisha invece definiscono la propria persona come artista e non come quella di serva accondiscendente ai capricci maschili, o prostituta; la geisha infatti non è una donna sottomessa e semplice oggetto dei desideri dell’uomo, essa è tutt’altro che mero oggetto o donna di facili costumi.
Bisogna però dire che il rapporto delle geisha con la prostituzione è stato sempre complesso e delicato in antichità. Il termine “geisha” fu infatti un elemento presente nella definizione di molte professioni femminili di varia natura nell’ultima metà del XVIII secolo, ed inoltre alcune donne dedite esplicitamente alla prostituzione si appropriarono indebitamente di questo appellativo.
Tra di loro infatti vi erano quelle sedicenti geisha che “garantivano il cuscino”, mentre altre, le vere geisha non lo facevano, offrendo invece ai clienti esclusivamente la propria arte. Il regime feudale giapponese tentò in tutti i modi di mantenere una distinzione tra le due tipologie di donne.
Il fatto però che quando la prostituzione venne abolita ufficialmente nel 1957 la professione delle geisha non venne abolita, ci fa capire come comunque la vera geisha, nel corso della storia, non sia mai stata considerata in realtà una prostituta dalle autorità del governo giapponese.
Le fasi del percorso di una geisha
In passato la maggior parte delle bambine che sarebbero diventate geisha, veniva adottata dagli stabilimenti nella prima infanzia; una volta assegnata ad un okiya (置屋), ovvero una “casa di appartenenza”, la ragazza cominciava il suo percorso di formazione. Questo percorso era caratterizzato, nei primi anni, dal passaggio da shikomi (仕込み), letteralmente “preparazione”, a minarai (見習) letteralmente “apprendista”.
Una shikomi si occupava delle faccende domestiche, commissioni e della propria istruzione, e inoltre accompagnava spesso le proprie colleghe più grandi ai vari impegni.
Una minarai abbandonava definitivamente le mansioni domestiche per concentrarsi nell’apprendimento delle arti tradizionali. Una volta terminato il periodo come minarai, la ragazza veniva ufficialmente riconosciuta come maiko, ovvero l’apprendista geisha.
La differenza tra Maiko e Geiko
L’apprendista geisha è chiamata maiko (舞妓), ovvero “fanciulla danzante”, e viene avviata alla professione da ragazzina, a quindici anni circa, fino attorno ai suoi primi vent’anni.
Malgrado l’avanzamento nella gerarchia su cui si fonda la realtà di appartenenza della geisha, la maiko conduce comunque una vita quotidiana faticosa e molto impegnata; la mattina deve frequentare le lezioni di danza, canto e altre arti tradizionali presso una scuola, nel pomeriggio prosegue poi con le esercitazioni individuali. E’ proprio nella fase di maiko che le ragazze cominciano a delineare un loro stile personale nell’esercitare le arti tradizionali. Dopo lo studio, una maiko si dedica ai preparativi per la serata di lavoro che solitamente comincia verso le sei del pomeriggio e termina a notte inoltrata.
Le giovani maiko non sono ancora gravate dalla responsabilità per la buona riuscita delle feste alle quali partecipano come intrattenitrici, visto il ruolo in parte marginale che ricoprono in essi, ma in compenso il loro stadio di formazione impone loro di aver acquisito una perfetta padronanza dei segreti estetici, in modo da essere sempre truccate ed acconciate alla perfezione.
Le maggiori responsabilità sulla riuscita di una festa privata per uno o più clienti, ricadono invece sulle spalle delle geiko. Una geiko (芸妓), ovvero “artista donna” (termine principalmente utilizzato a Kyōto nell’area di Gion, famoso quartiere di geisha), ricopre la posizione più alta nella gerarchia, in quanto ha ormai raggiunto il massimo livello artistico.
Una maiko passa al livello di geiko dopo i vent’anni, una volta superata la fase di apprendista. Il passaggio da maiko a geiko viene celebrato tramite l’erikae (襟替え) cioè “cambio del colletto”, ovvero una cerimonia in cui la maiko ora divenuta geiko indossa, abbinato al proprio kimono, un colletto bianco al posto di quello rosso indossato solo dalle apprendiste.
Inoltre la maiko cambia il modo di acconciare i propri capelli, cioè al posto dell’acconciatura realizzata sui capelli veri, porta ora un’acconciatura realizzata su una parrucca che si rifà a quella delle donne del Periodo Edo. La differenza nell’aspetto tra una maiko e una geiko non solo dipende dall’acconciatura ma anche dagli accessori utilizzati: più numerosi, sfarzosi e colorati in una maiko, più semplici ed in quantità nettamente minore in una geiko.
Anche l’abbigliamento differisce tra le due tipologie di artiste. Una maiko indossa un kimono chiamato hikizuri (引きずり) termine che significa “trascinare”, lungo circa 2mt dalle lunghe maniche, in stile furisode (振袖), cioè “lunghe maniche”, dai colori accesi e fantasie marcate, con un colletto rosso. La cintura della maiko che viene annodata per chiudere il kimono, ovvero l’obi, prende il nome di darari obi (だらり帯) cioè “cintura che cade liberamente”, ed è molto decorata, lunga dai 6mt ai 7mt, e viene annodato nello stile darari musubi (だらり結び), ovvero “nodo che cade liberamente”.
L’abbigliamento di una maiko è dunque molto ingombrante e pesante: la parte inferiore del furisode fascia le gambe formando uno strascico da sostenere con la mano sinistra, obbligandola a dei passi minuscoli, le maniche sono lunghissime impedendo alcuni movimenti, l’obi dal nodo appariscente ed i metri di tessuto che lo compongono pesano sulla schiena della ragazza.
Una geiko invece divenuta ormai una professionista riconosciuta, non ricorre più alla sontuosità degli abiti di una maiko per essere apprezzata ed indossa così un abbigliamento più sobrio, giacché il fascino di queste intrattenitrici non deriva tanto dall’aspetto esteriore quanto dal loro portamento, dal loro stile ricercato e professionalità. Il kimono di una geiko che prende ora il nome di kosode (小袖), cioè “corte maniche”, ha colori e pattern più smorzati, il colletto bianco non è più portato eccessivamente morbido sul retro per far intravedere la pelle nuda della schiena e ha le maniche più corte rispetto al furisode di una maiko; anche l’obi di 4mt è più corto, e non viene più annodato nel vistoso stile darari musubi, bensì nel caratteristico taiko musubi (太鼓結び), ovvero “nodo a tamburo”.
In quanto alle calzature, quelle indossate da una maiko sono chiamate okobo (おこぼ), cioè “sandali per bambine”, sono fatte con un solo blocco di legno scolpito e hanno un tacco a zeppa alto circa 10cm, scavato nella parte anteriore del piede, parte che quindi non poggia per terra normalmente. La maiko indossa gli okobo non solo perché incrementano la sua statura sottolineando la singolarità della figura, ma anche per imparare a camminare dal momento che il suo kimono, stretto sulle gambe, permette di fare solo piccoli passi.
Le calzature di una geiko, anch’esse in legno scolpito, si chiamano invece geta (下駄), cioè “zoccoli”, e sono più basse e meno impegnative.
Maggiore è l’esperienza professionale, maggiore è la sobrietà e la naturalezza anche dell’aspetto in quanto a makeup. E’ possibile infatti distinguere in quale stadio professionale sia una di queste artiste in base al modo di indossare il rossetto, sul volto completamente bianco (principale simbolo della loro identità); infatti le maiko si dipingono di rosso solo il labbro inferiore lasciando il superiore bianco come il resto del volto, e dunque invisibile, mentre le geiko truccano entrambe le labbra, dipingendo però solo la parte centrale di esse.
I quartieri delle geisha nella storia del Giappone
Nel Giappone antico il mondo delle cortigiane e delle prostitute comuni era noto come yūkaku (遊廓), cioè “distretto a luci rosse”, quando poi la figura della geisha sostituì quella delle cortigiane, anche il nuovo mondo astratto di cui faceva parte, ovvero il karyūkai, soppiantò lo yūkaku.
L’attività della prostituzione venne abolita una prima volta nel 1868, in quanto dichiarata degradante per la donna, così come i quartieri del piacere. Fu allora che la figura della geisha cominciò a farsi notare al di fuori del mondo a luci rosse, ovvero in città.
La realtà della geisha, che andò a sostituire lo yūkaku, prese quindi il nome di karyūkai; il karyūkai era concretamente rappresentato dagli hanamachi (花街) le “città dei fiori”, ovvero i quartieri delle geisha all’interno dei quali non vi erano le vecchie case di appuntamento tipiche degli antichi quartieri del piacere, ma vi erano solo le case da tè e le residenze di maiko e geiko.
Nel corso della storia del Giappone, diversi hanamachi si sono susseguiti nel tempo. Alcuni sono scomparsi mentre altri esistono ancora oggi.
Prefettura di Kyōto
- Gion (a sua volta diviso in due quartieri indipendenti: Gion Kōbu e Gion Otsubu, quest’ultimo poi divenuto Gion Higashi Shinchi nel 1949)
- Pontochō
- Miyagawa-chō
- Kamishichigen
- Shimabara
- Shimogawara
Prefettura di Tōkyō
- Asakusa
- Fukagawa
- Mukōjima
- Kagurazaka
- Shinbashi
- Yanagibashi
Prefettura di Gifu
- Gifu
Prefettura di Fukuoka
- Hakata
Prefettura di Ishikawa
Prefettura di Niigata
- Niigata
Geisha Monogatari: La storia della geisha dalle origini ad oggi
“Geisha Monogatari” è un saggio storico-antropologico che parte dal Giappone classico ed arriva al Giappone moderno, per capire quali furono i contesti socio-culturali che hanno portato alla comparsa della geisha nella società giapponese. L’opera, frutto di un approfondito lavoro di ricerca, si basa sull’analisi di quelle realtà e di quelle figure femminili che hanno costituito il background da cui nascere e attraverso cui svilupparsi, diventando così la geisha, uno dei simboli più significativi e rappresentativi della storia e cultura giapponese più tradizionale.
Ciò che mi ha portato a scrivere “Geisha Monogatari” è l’aver notato, tante e troppe volte negli anni della mia modesta esperienza di vita, quanti cliché, stereotipi ed errate interpretazioni siano stati associati alla figura della geisha, radicandosi nel pensiero comune, e privandola della sua vera natura.
Un altro motivo che ha portato alla creazione di questo libro è l’assenza, totale o quasi, in ambito letterario italiano, di testi che trattino in maniera completa, approfondita e secondo un ordine cronologico questo articolato tema.
L’ultimo motivo alla base del mio libro è una passione per il Giappone che coltivo da tantissimi anni così come lo studio della sua storia e cultura. Mi sembrava, a questo punto della mia vita, quindi doveroso concretizzare in un libro i miei studi e ricerche, cercando il più possibile di restituire alla geisha la sua Essenza.