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Sake, Umeshu, Shochu e altri liquori e alcolici giapponesi

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Il mercato degli alcolici in Giappone ha una storia antica che si è evoluta fino ai giorni moderni, facendo sì che il Giappone non sia solo considerato la patria del Sake, ma portandolo ai livelli mondiali più alti come produttore di alcolici quali il Gin ed il Whisky, prodotti di origine europea ma che, come ben san fare i giapponesi, hanno assimilato e personalizzato.

Iniziamo col dire che la bevanda alcolica giapponese per antonomasia, il sake, in realtà in patria si chiama “nihonshu” (日本酒); infatti, la parola “sake”, indicata con il kanji 酒, significa semplicemente “bevanda alcolica” e fa riferimento ad un qualunque liquore, senza un’asserzione specifica; nel resto del mondo, invece, è prassi comune usare la parola sake per indicare il nihonshu.

Guardando i kanji di “sake” e “nihonshu” si può facilmente notare che la seconda parola è composta dai kanji di “Giappone” e dal kanji di “alcol” (che può essere pronunciato sake o shu), 日本 +酒, per cui traducibile come “bevanda alcolica giapponese”. Entreremo più nel dettaglio di questa bevanda tra poco.

Oltre che per la produzione di alcolici, il Giappone è anche famoso per il triste fenomeno chiamato “nomisugi” (飲み過ぎ), ovvero il collassare per terra addormentati dopo essersi ubriacati pesantemente a fine giornata o a fine settimana.

Questo accade principalmente per due motivi: un scientifico, ovvero la ridotta presenza nelle popolazioni asiatiche di un particolare enzima del fegato, chiamato “alcol deidrogenasi” (ADH), il cui compito è quello di neutralizzare le molecole dell’alcol nel corpo umano, la cui assenza rende quindi più facile ubriacarsi; l’altro socio-culturale, ovvero lo stress e l’oppressione che il lavoro e la società giapponese impone alla sua popolazione, facendo sfociare questo disagio “nell’ubriacarsi per non pensarci e svagarsi”.

Ma questo è un aspetto che meriterebbe un articolo dedicato, per cui torniamo a parlare delle varie tipologie di alcolici prodotte e consumate in Giappone, tenendo sempre a mente che l’esagerazione nel bere porta solamente problemi.

 

Sake o Nihonshu (日本酒)

Liquori e alcolici giapponesi: Sake

Come abbiamo già accennato nell’introduzione, il sakè, o nihonshu, è la bevanda alcolica giapponese più conosciuta al mondo; ha una storia millenaria, anche se non ben definita, ed è un prodotto ricavato dalla fermentazione del riso con acqua e koji; quest’ultima è una muffa naturale che cresce facilmente nei grani di riso e che è utilizzata per far fermentare molti dei prodotti più tradizionali giapponesi, come il miso, la salsa di soia, il natto e per l’appunto, il sake.

Come detto, il sakè non è un distillato, ma un prodotto derivato dalla fermentazione; ne esistono varie tipologie che differiscono tra loro per la qualità del riso utilizzato, per la quantità di raffinazione dei chicchi di riso, per le percentuali di alcol aggiunto, per la finezza del filtraggio, per la temperatura di fermentazione e per quella a cui viene servito.

Ad esempio, il Sakè Junmai Ginjo è fermentato a basse temperature ed è molto limpido, leggero e dal gusto fruttato; il Junmai Daiginjo è il sakè più pregiato; il Sakè Ginjo è molto delicato e fruttato oltre che poco acido; il Nigorizake è un sake non filtrato dall’aspetto torbido e biancastro, molto dolce e con la presenza di alcuni sedimenti del riso.

Il grado alcolico varia indicativamente tra il 10% ed il 20%.

Una curiosità legata al sakè è l’antica unità di misura giapponese del volume, chiamata shō; anche oggi 1 shō è la misura standard di una bottiglia di sakè, così come 1 gō, che equivale ad un decimo di shō, corrisponde ad un bicchiere di sakè.

 

Umeshu (梅酒)

Liquori e alcolici giapponesi: Umeshu

L’Umeshu (梅酒) è un liquore prodotto immergendo una determinata qualità di prugna giapponese ancora acerba, chiamata ume, all’interno di alcol distillato “insapore”, dove verrà lasciata macerare insieme allo zucchero di canna; il risultato sarà un liquore dalla gradazione alcolica che si aggira tra l’8% ed il 15%.

Le prugne utilizzate per la sua preparazione sono principalmente di qualità Nankoume, molto pregiata, prodotta principalmente nella prefettura di Wakayama, a sud di Kyoto; vengono anche usate altre qualità come le Oshuku, Shirakaga, Kojo, Rinshu e altre. Anche lo zucchero di canna a volte è sostituito o diluito con fruttosio o miele ed è preferibile usare quello in cristalli grandi, così da prolungarne l’assorbimento.

Il risultato è un liquore molto dolce, consistente e leggermente viscoso, dai sentori fruttati, che può essere bevuto “on the rocks” oppure con l’aggiunta di soda, acqua tonica o succhi di frutta. L’umeshu, spesso, in occidente prende il nome di vino di prugne.

Una curiosità, dal 2002 al 2011, la produzione di umeshu, in Giappone, è più che raddoppiata, ma nello stesso periodo la produzione di ume è rimasta invariata; ciò significa semplicemente che oggigiorno la metà della produzione di questo liquore è fatta con aromi artificiali, anche perché la legge giapponese sugli alcolici non impone di specificare queste differenze; per cui, quando possibile, sarebbero da prediligere le bottiglie su cui è indicata la produzione “naturale” piuttosto di quelle dove non è indicato nulla.

 

Shochu (焼酎)

Liquori e alcolici giapponesi: Shochu

Lo Shōchū (焼酎) è un distillato giapponese che può essere prodotto a partire dal riso (komejōchū), dalle patate dolci (imojōchū), dall’orzo (mugishōchū), dallo zucchero di canna (kokutōshōchū), dal grano saraceno (sobajōchū) ed ingradienti più particolari come dalle carote, dalle castagne o dai semi di sesamo.

E’ un liquore trasparente, molto simile alla vodka, ed ha una gradazione tipica al 25%, ma può arrivare fino al 37%; esiste sia nella versione a singola distillazione che a distillazione multipla.

La versione a singola distillazione, chiamata “honkaku shochu”, è la versione originale e più antica dello shōchū e solitamente viene bevuta “on the rocks” senza essere mischiato ad altro. La versione distillata più volte, invece, prende il nome di “korui shochu” ed ha un sapore indefinito, per cui è utilizzato per essere miscelato con acqua (fredda o tiepida) o per preparare cocktail.

Lo shochu è anche la base del Chūhai (酎ハイ), una bevanda alcolica che aggiunge al distillato acqua gassata e aromi vari, come limone, pompelmo, mela, ananas, ume, etc… ha una gradazione alcolica tra il 4% ed il 7% e viene venduto principalmente in lattina nei kombini e nei distributori automatici.

Una curiosità sulla parola shōchū: il kanji 酎 (chū) è diventato ufficialmente un kanji di uso comune (jōyō kanji) solo a partire dal 2010, per cui sulla maggior parte dei documenti ufficiali e delle leggi che parlano di alcolici, la parola shochu è scritta in hiragana, ovvero しょうちゅう.

 

Awamori (泡盛)

Liquori e alcolici giapponesi: Awamori

L’Awamori (泡盛) è un liquore tipico dell’antico Regno delle Ryukyu, oggi isole di Okinawa, simile allo shochu ma con alcune caratteristiche peculiari ed una storia di oltre 600 anni; ha origine dalla bevanda tailandese Lao Khao e la sua preparazione prevede unicamente la distillazione del riso di qualità indica (a chicco lungo), anch’esso originario della Thailandia.

La posizione geografica di Okinawa ha permesso ai suoi abitanti di essere un centro nevralgico di scambi commerciali e culturali con i paese limitrofi; da qui la scoperta della bevanda Lao Khao ed in seguito la sua personalizzazione secondo i gusti dell’arcipelago; può essere bevuta al naturale, con ghiaccio o con l’aggiunta di un po’ di acqua sia fredda che calda che gassata, oppure può essere utilizzato per mixare cocktail.

La sua preparazione prevede unicamente l’utilizzo di riso, acqua e muffa koji nera come ingredienti ed un’unica distillazione; più invecchia più la qualità (ed il costo) aumenta; secondo la tecnica tradizionale, viene riposto in vasi di terracotta, ma più comunemente oggi è riposto a invecchiare in contenitori di acciaio.

E’ considerato uno degli alcolici più puri che è possibile trovare ed ha una gradazione che varia tra il 25% ed il 43%.

Curiosità: l’Awamori può arrivare ad invecchiare anche per centinaia di anni utilizzando la tecnica chiamata Shitsugi, ovvero aggiungendo una parte di awamori meno invecchiato in una parte più vecchia, ripetendo l’operazione in momenti diversi e con maturazioni diverse; si dice che esistesse awamori invecchiato 300 anni con questa tecnica, purtroppo andato perso durante la battaglia di Okinawa nel 1945, verso la fine della seconda guerra mondiale.

 

Whisky (ウイスキー)

Liquori e alcolici giapponesi: Whisky

Il Whisky arrivò in Giappone intorno alle metà del 1800, verso la fine del periodo Edo e  con l’arrivo della flotta americana di Matthew Perry; ha iniziato ad essere prodotto e commercializzato in Giappone dal 1924 dalla distilleria Yamazaki.

La versione giapponese del whisky è stata sviluppata a partire da quella scozzese, alleggerendone un po’ l’intesità, ed anche la sua nomenclatura trasliterata in katakana utilizza la versione scozzese, ウイスキー, ovvero Whisky e non Whiskey (che è la versione irlandese, o comunque non scozzese).

C’è da dire che, purtroppo, il whisky giapponese ha due facce: da un lato negli ultimi anni sta riscuotendo un enorme successo a livello mondiale, vincendo più volte prestigiosi premi internazionali e classificandosi tra i migliori whisky al mondo in importanti competizioni, ad esempio “Hakushu 25 Years Old” nel 2018 è stato dichiarato il miglior single malt al mondo così come “Taketsuru 17 Years Old” è stato il miglior blended malt del mondo, solo per citarne alcuni.

Dall’altro lato, però, la legge giapponese in materia di alcolici non impone ai produttori giapponesi di indicare la provenienza del contenuto di una bottiglia di whisky; questo significa che alcuni produttori importavano whisky da altre nazioni, lo imbottigliavano in Giappone e lo dichiaravano “Whisky Giapponese”… o ancora producevano whisky di riso, praticamente shochu, ma lo imbottigliavano e vendevano come whisky.

Questa cosa è tutt’ora legale in Giappone, anche se la Japan Spirits & Liqueurs Makers Association ha trovato un accordo non vincolante tra la maggior parte delle distillerie giapponesi per evitare sotterfugi e dichiarare in etichetta quanti più dettagli possibili, a partire dal 31 marzo 2024, oltre a rispettare precisi standard di produzione per poter indicare in etichetta la dicitura “whisky giapponese”.

Curiosità: una bottiglia di una prima edizione di Yamazaki invecchiato 50 anni è stata battuta all’asta da Bonhams, a Hong Kong, all’incredibile cifra di 343.000 dollari.

 

Gin (ジン)

Liquori e alcolici giapponesi: Gin

La versione primordiale del Gin nasce in Italia, a Salerno, e si perfeziona come liquore medicinale nei Paesi Bassi a partire dalla metà del 1600; la sua caratteristica principale è da sempre l’aroma di bacche di ginepro, ma a parte questo non ha una “ricetta” precisa ed in ogni luogo dove viene prodotto lo si personalizza con ingredienti differenti; viene distillato a partire da patate o cereali fermentati a cui si aggiungono erbe ed aromi.

Il primo Gin in Giappone (ジン) fu distillato nel 1812 a Nagasaki, ma il primo ad essere considerato Gin artigianale giapponese risale a tempi molto recenti, ovvero al 2016, quando la “The Kyoto Distillery” iniziò a distribuire il “KI NO BI – La bellezza delle stagioni”, un gin distillato a partire dal riso con botaniche giapponesi che includono lo yuzu giallo, i trucioli di legno di akamatsu, il bambù, il tè gyokuro di Uji e le bacche del pepe verde sanshō; questi sono i più comuni usati dalle distillerie giapponesi senza dimenticare lo zenzero e le foglie ed i fiori di ciliegio.

Un’altra caratteristica dei più famosi Gin giapponesi è il fatto che ogni botanica usata viene distillata indipendente, e solo alla fine tutti i distillati sono miscelati insieme per ottenere un risultato perfetto; la gradazione alcolica è pari o superiore al 37,5%.

Fabrizio Chiagano
Fabrizio Chiagano
Web Developer, UX e UI Designer. Abbastanza Nerd, appassionato di tecnologia, fotografia, cinema, documentari e marketing. Ovviamente, patito di anime, cucina e cultura Giapponese. Vivo a Milano ^_^