Principessa Mononoke, in giapponese Mononoke Hime, è uno dei capolavori dello Studio Ghibli e di Hayao Miyazaki, uscito nel 2017 ed ambientato in Giappone verso la fine del periodo Muromachi (1338 – 1573).
E’ ambientato in un mondo dominato da esseri sovrannaturali, divinità e demoni, parla di come gli esseri umani demoliscono e depredano la natura per recuperarne le risorse unicamente per il proprio tornaconto, senza il minimo contegno e senza pensare agli animali, ed alle divinità mitologiche, a chi in quei luoghi vivono da sempre.
La storia inizia con l’arrivo, in un villaggio del nord-est dell’isola di Honshu, di in gigantesco cinghiale tramutatosi in uno spirito demoniaco e vendicativo che porta scompiglio e vuole la sua vendetta perché gli esseri umani stanno demolendo la foresta in cui vive e di conseguenza la sua stessa famiglia.
Per poter salvare la popolazione del proprio villaggio, il principe Ashitaka, in groppa al suo fedele Yakul (che viene indicato come un alce rosso, anche se l’aspetto è più simile ad un lichi, un’antilope) è costretto ad uccidere la divinità cinghiale; nel farlo, però, viene toccato sul braccio, il quale a sua volta viene posseduto da parte dello spirito vendicativo.
Questa possessione, secondo l’anziana del villaggio, porterà inesorabilmente Ashitaka alla morte; l’unica soluzione è che il principe lasci il villaggio per recarsi nella zona di origine del cinghiale per trovare una cura. Lungo il viaggio, scoprirà il perché della trasformazione del cinghiale, incontrerà San (che viene chiamata “ragazza lupo” o “principessa mononoke”), si imbatterà nella divinità della foresta, e diventerà parte integrante della storia insieme a San.
In quest’articolo, dando per scontato che abbiate già visto Principessa Mononoke, proverò ad associare alcuni personaggi che compaiono nel film alla loro controparte nella mitologia e folklore giapponese.
Kodama
Un kodama è uno spirito che dimora negli alberi ma, contemporaneamente, è l’albero stesso al cui interno dimora questo spirito; albero e spirito sono in simbiosi, per cui il kodama non ha bisogno di nutrirsi in quanto la sua sopravvivenza è completamente legata alla vita dell’albero, ma anche viceversa, quindi se lo spirito muore l’albero morirà con lui.
I kodama si prendono cura non solo dell’albero in cui vivono, ma anche della zona circostante, degli altri alberi e dell’intera foresta; si manifestano agli occhi umani sia come sfere di luce sia come mini entità antropomorfe.
E’ molto difficili osservarli ma è molto più facile ascoltarli: infatti le credenze popolari dicono che quando si sente un eco nella foresta, o quando si sente cadere un albero senza che in realtà sia caduto realmente, quella sia la voce dei kodama.
Gli alberi più antichi e grandi sono venerati come divinità, vengono avvolte da una corda sacra chiamata shimenawa e a volte vi vengono costruiti dei mini santuari alla loro base; se tagliati, gli spiriti malediranno le persone che hanno commesso l’oltraggio e l’intera zona circostante.
La divinità della foresta
Quello che nell’adattamento italiano viene chiamato, grezzamente, “Dio Bestia” può essere identificato come una divinità della foresta e della natura, capace di dare la vita e la morte agli animali ed all’intera vegetazione.
Il suo aspetto è molto particolare ed ha due diverse forme, una diurna ed una notturna.
L’aspetto diurno è quello di una chimera con parti del corpo appartenenti a diversi animali: la sua forma principale è quella di un cervo, con grandi corna e con molte diramazioni, le orecchie sono quelle di una capra, la coda ricorda quella di un cane, le zampe di color verde hanno tre zoccoli ed il viso è molto particolare, ricorda lontanamente la faccia di una persona ma con il naso e gli occhi simili a quelli di un gatto.
Questa versione della divinità sembra non abbia un’esatta corrispondenza nella mitologia giapponese; si può notare, però, come nello shintoismo i cervi siano considerati messaggeri divini; inoltre, nel Kojiki, uno dei messaggeri di Amaterasu, Ame-no-Kaku, colui che fu incaricato di avvisare il padre di Takemikazuchi della decisione di dover scendere sulla “Terra” per governarla, viene identificato come una cervo.
L’aspetto notturno, invece, è totalmente differente da quello diurno: appare come un gigantesco essere dalla forma umanoide, alto centinaia di metri, con grandi corna che ricoprono la testa fino alle spalle e le braccia e con il corpo di un colore bluastro e semi trasparente.
Quest’altra raffigurazione, invece, è associata a Daidarabotchi, uno yokai dalle dimensioni enormi, probabilmente il più grande yokai di tutto il folklore giapponese; il suo solo camminare genera laghi e modella la natura e con le sue mani può creare montagne dal nulla.
Esistono moltissime differenti legende che hanno come protagonista un Daidarabotchi ed alcune affermano che, tra le varie “creazioni” di questo yokai, ci siano anche il lago Biwa, il Monte Fuji e l’estensione dei confini di Izumo, che furono aumentati trascinando con una corda parte delle terre di Silla (una regione dell’antica Korea).
San
San è tra i protagonisti di Mononoke Hime; è una ragazza che in tenera età fu abbandonata dai suoi genitori dopo che Moro, il grande lupo bianco, li attaccò per difendere la foresta; nonostante l’attacco, però, Moro decise di prendere con la bambina con se e di crescerla come fosse sua figlia; per questo motivo San è convinta di essere un Lupo a tutti gli effetti.
San viene chiamata Mononoke hime (da qui il titolo del film), dove hime significa “principessa” e mononoke può essere tradotto come “spirito vendicativo”; la parola mono-no-ke, infatti, in giapponese è scritta 物の怪, che scomposta significa letteralmente “cosa misteriosa”, da cui “essere sovrannaturale”.
Le forme dipinte sul suo viso e sul suo corpo, a detta dello stesso Miyazaki, sono ispirate al manga “Mudmen” di Daijiro Morohoshi, che a sua volta ha preso spunto da una vera tribù della Papua Nuova Guinea chiamata “Asaro Mudmen”. La maschera, invece, ricorda le bambole Dogū del periodo Jomon (10.000 a.C. – 300 a.C.)
Nago e Okkoto
Nego è il capo del clan dei cinghiali ed è colui che compare all’inizio di Principessa Mononoke, ovvero il cinghiale posseduto in cerca di vendetta, che infetta il braccio del principe Ashitaka prima di morire per mano di quest’ultimo.
Okkoto è un altro capo cinghiale, di colore bianco, anziano e cieco, ed è colui che attacca gli umani che hanno ucciso Nago per difendere la foresta e l’onore e la fierezza di tutti i cinghiali, purtroppo fallendo miseramente.
I capi cinghiali sono raffigurati di dimensioni maggiori rispetto agli membri del clan e sono considerati alla stregua di divinità.
La versione demone di Nego è associabile a due aspetti del folklore giapponese, il Koduko ed i Tatarigami.
Il koduko è una magia nera che fa uso di veleni; praticamente diversi insetti vengono messi in un contenitore finché solamente uno di essi non rimane in vita; con i fluidi di quest’ultimo verrà realizzata una maledizione per controllare o uccidere una persona; lo spirito della maledizione viene rappresentato come un verme, che nel film ricorda molto ciò che avvolgeva il capo cinghiale (anche Haku, ne La città incantata, è posseduto da una specie di verme grazie al quale Yubaba riesce a controllarlo).
I Tatarigami, invece, sono gli spiriti e le divinità vendicative; questi possono essere sia gli spiriti di esseri umani morti ingiustamente o in modo crudele che cercano vendetta, sia divinità maligne che si nutrono di guerre e terrore. Solitamente, con apposite cerimonie, possono essere placati; ad esempio, il Gion Matsuri di Kyoto, in origine, aveva proprio lo scopo di placare queste entità sovrannaturali.
Altri spiriti e luoghi
Nel film Principessa Mononoke, oltre ai personaggi già dettagliati, ne compaiono molti altri, anche molto importanti per la storia del film, come: Jiko, la persona vestita da monaco ed al servizio dell’imperatore, il cui scopo è recuperare la testa del Dio della Foresta; Eboshi, la signora della Città del ferro; e lo stesso protagonista Ashitaka, il principe degli Emishi (un’antica popolazione del Giappone, si pensa imparentata con gli Ainu dell’Hokkaido).
Ma in quest’ultima parte dell’articolo vorrei concludere citando brevemente alcuni altri personaggi, e luoghi, legati al folklore ed alla mitologia giapponese.
Moro è la Divinità Lupo, genitore adottiva di San, che nella cultura del Giappone rappresenta un ōkami, un lupo messaggero dei kami della montagna (divinità shintoiste) che vengono chiamati Yama-no-kami; questi lupi-divini vengono anche associati alla pratica chiamata “Okuri-inu”, traducibile come “cane da scorta”; praticamente le leggende dicono che, se una persona cammina di notte lungo un sentiero di montagna, un lupo potrebbe seguirlo fino a destinazione ed aggredirlo, o divorarlo, se la persona sembra eccessivamente stanca o se cade; ma le storie sono diverse da regione a regione.
Oggi i lupi giapponesi sono estinti (l’ultimo sembra sia stato ucciso nel 1905).
Il clan delle scimmie, invece, viene raffigurato in modo molto astratto e nebuloso; quando vengono invitati a partecipare alla lotta per salvare la foresta dagli abitanti della Città del ferro, loro rispondono che “non interferiscono tra le scelte degli Dei e degli Umani”. Questa situazione si lega bene a come le scimmie giapponesi sono viste da alcune credenze shintoiste e buddiste secondo cui, questi animali, sono messaggeri divini e quindi non hanno potere decisionale tra cosa decidono di fare gli esseri umani e le divinità.